“Ho scelto di candidarmi perché non trovo corretto che nella corsa alla presidenza della Federcalciatori ci sia un candidato unico. Inoltre ritengo che negli ultimi anni l’Aic abbia perso forza e centralità, che non riesca ad entrare nelle decisioni politiche federali”. Beppe Dossena, ospite di ‘Radio anch’io sport’ (Rai Radio1), così ha spiegato i motivi che lo hanno spinto a contrapporsi a Umberto Calcagno.
“Il calciatore deve essere riportato al cento del sistema – ha aggiunto l’ex campione del mondo 1982 – visto che ci sono un milione di tesserati e poi deve saper dialogare con le altre componenti. Ai giocatori non devono più essere fatte cadere le decisioni dall’alto perché sono una componente importante e hanno senso di responsabilità”.
Dossena ha accennato alla “sosteniblità economica” dell’Aic: “Può andare in crisi senza un controllo delle uscite, che ora mi sembrano eccessive. Un po’ di spese possono essere riconsiderate, per consegnarle al calcio femminile, ai dilettanti”. “L’Aic è in grado di gestire l’emergenza” generata dal Covid “con le proprie forze, almeno nell’immediato futuro” ha sottolineato. Ma “serve un pervcorso legale, trasparente. Tutto ciò che l’Aic genera deve essere destinato al nostro mondo”.
Parlando di sacrifici chiesti alla categoria, Dossena ha mosso un appunto al n.1 della Figc: “Ho sempre apprezzato sobrietà ed equilibrio di Gravina, ma non credo sia compito del Presidente federale rivolgere un appello ai giocatori affinché si decurtino lo stipendo. Casomai spetta alla Lega di serie A ed ai presidenti delle società. Comunque non mi sembra che qualcuno sia mai stato costretto a firmare un contratto con la pistola alla testa”.
Infine ha sollecitato maggior scambio di opinioni con la classe arbitrale: “Fissiamo un principio: gli arbitri possono sbagliare. Detto questo, se una comunità, della quale fanno parte anche giocatori e giornalisti, ha lo stesso linguaggio deve esserci un dialogo, accettando differenze e distorsioni”.