Una microalga marina per una bioeconomia più sostenibile, alimentata dalla luce solare

La vita sulla Terra dipende dagli organismi fotosintetici, che utilizzano la luce solare per fissare l’anidride carbonica dell’atmosfera in biomassa vegetale, rilasciando ossigeno. Circa la metà dell’ossigeno che respiriamo dipende dall’attività fotosintetica delle microalghe, organismi unicellulari che vivono in ambienti acquatici.

A seconda delle condizioni ambientali (ad esempio per il meteo o le stagioni) la luce solare può essere scarsa o abbondante. Nel primo caso l’organismo fotosintetico non riceve sufficiente energia per crescere, nel secondo caso l’energia è invece in eccesso e può portare a foto-danneggiamento e morte.

Come gli altri organismi fotosintetici, anche le microalghe hanno evoluto dei meccanismi per regolare la fotosintesi a seconda della disponibilità di luce, con lo scopo di sopravvivere in un ambiente naturale altamente variabile.

Quando la radiazione luminosa è scarsa, la fotosintesi massimizza la cattura della luce e il suo utilizzo, mentre quando questa è troppo abbondante, la fotosintesi dissipa la parte di luce in eccesso per evitare il foto-danno e la morte.

Un gruppo di ricerca dell’Università di Padova, in collaborazione con l’Università di Berkeley (California), nello studio dal titolo “Modulation of xanthophyll cycle impacts biomass productivity in the marine microalga Nannochloropsis” pubblicato su PNAS e coordinato da Giorgio Perin e Tomas Morosinotto del dipartimento di Biologia, ha dimostrato che si può migliorare la fotosintesi delle microalghe e la loro capacità di fissare la CO2 atmosferica per renderne la coltivazione più competitiva sul mercato e massimizzare la produzione di biomassa – la materia organica appositamente trattata per essere utilizzata come biocombustibile.

Il ciclo delle xantofille è uno dei meccanismi di regolazione della fotosintesi e prevede la trasformazione reversibile tra due pigmenti ossigenati – le xantofille – chiamati violaxantina e zeaxantina.

La violaxantina promuove la cattura della luce ed è quindi favorita in condizioni di luce scarsa, mentre la zeaxantina promuove la dissipazione della luce in eccesso ed è quindi favorita in condizioni di luce abbondante.

Oltre al loro importante ruolo ecologico, le microalghe rappresentano anche una fonte di biomassa molto versatile, da cui ottenere molteplici prodotti – ad esempio cosmetici, farmaci, additivi alimentari, mangimi, fertilizzanti e biocarburanti – e potrebbero quindi contribuire allo sviluppo di una bioeconomia più sostenibile, alimentata dalla luce solare, anche favorendo il sequestro di CO2 atmosferica, attualmente responsabile del cambiamento climatico globale.

Per massimizzarne la produttività, le microalghe vengono coltivate in impianti su larga scala – i fotobioreattori – e ad elevata densità: questo causa una distribuzione disomogenea della luce nel volume di coltura. Le microalghe più esposte alla luce ricevono radiazione luminosa in eccesso, mentre quelle più interne alla coltura ricevono una quantità di luce così scarsa da limitarne la crescita.

Generalmente, quest’ultima parte della coltura è la predominante (>70% del volume totale) e ciò ad oggi limita la produttività dei sistemi di coltivazione industriali delle microalghe, impedendo ai prodotti ottenuti dalla loro biomassa di diffondersi sul mercato.

Per migliorare la distribuzione della luce nei fotobioreattori, la coltura viene mescolata: questo processo spinge le microalghe che popolano le regioni della coltura più interne a muoversi verso gli strati più esterni, dove la luce è in eccesso, e quelle che si trovano in quest’ultimi a raggiungere le regioni più interne, dove la luce è limitante per la crescita.

La velocità di mescolamento delle microalghe nei fotobioreattori, però, è maggiore della velocità del ciclo delle xantofille: nelle microalghe che si muovono dall’esterno verso l’interno della coltura il ciclo delle xantofille non è sufficientemente veloce da convertire la zeaxantina a violaxantina e ciò spinge le microalghe a dissipare la poca luce ricevuta in queste regioni più interne, invece di utilizzarla per la crescita.

Dato che queste regioni rappresentano il volume maggiore della coltura di un fotobioreattore, questo fenomeno è una delle cause più importanti della ridotta produttività di biomassa che si osserva nei moderni impianti di coltivazione di microalghe su scala industriale.

“Nel nostro lavoro abbiamo studiato il ciclo delle xantofille in due specie di microalghe marine appartenenti al genere Nannochloropsis, che sono attualmente tra le più promettenti per scopi industriali, come la produzione di biocombustibili – spiega Giorgio Perin, primo autore dello studio e ricercatore al dipartimento di Biologia dell’Università di Padova –. Abbiamo dimostrato che l’accumulo di zeaxantina è fondamentale per rispondere a una forte illuminazione, come quella a cui le microalghe sono esposte negli strati più esterni di un fotobioreattore, ma la zeaxantina può anche portare a inutili perdite di energia in condizioni di scarsa disponibilità di luce, ossia negli strati più interni della coltura”.

“Grazie all’ingegneria genetica, abbiamo accelerato la velocità di conversione della zeaxantina in violaxantina nella microalga Nannochloropsis e abbiamo dimostrato che questa strategia porta ad un aumento della produttività della biomassa. Questo lavoro dimostra che il ciclo delle xantofille delle microalghe è necessario al loro benessere anche durante la coltivazione industriale e che la velocità operativa che questo meccanismo di regolazione della fotosintesi ha evoluto in natura rappresenta un ottimo bersaglio per la domesticazione delle microalghe e renderle più produttive durante la crescita in fotobioreattore” conclude Tomas Morosinotto, corresponding author della ricerca e docente del dipartimento di Biologia dell’Ateneo.

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