“Un Gesù che attraversa le strade del suo tempo è, probabilmente, il più bel ricordo del Beato don Giuseppe Puglisi”. E’ il ricordo di don Luigi Ciotti, presidente di Libera e del Gruppo Abele. “Lo hanno ucciso in strada – rievoca don Ciotti a 30 anni dalla morte di don Pino Puglisi -. Dove viveva, dove incontrava i piccoli, gli adulti, gli anziani, quanti avevano bisogno di aiuto e quanti, con la propria condotta, si rendevano responsabili di illegalità, soprusi e violenze. E per questo lo hanno ucciso: perché un modo così radicale di abitare la strada e di esercitare il ministero del parroco è scomodo”. “Lo hanno ucciso nell’illusione di spegnere una presenza fatta di ascolto, denuncia, di condivisione. Un talento raro nell’educare”, prosegue. “Con la sua testimonianza – sottolinea don Ciotti – don Pino ci sprona a sostenere quanti vivono questa stessa realtà con impegno e silenzio. Non il silenzio di chi rinuncia a parlare e denunciare, ma quello di chi, per la scelta dello stare nel suo territorio, rifiuta le passerelle o gli inutili proclami. ‘Beati i perseguitati a causa della giustizia perché di essi è il regno dei cieli'”. “Anche questo ci ha consegnato – aggiunge -: una grande passione per la giustizia, una direzione e un senso per il nostro essere chiesa e soprattutto un invito per le nostre parrocchie ad alzare lo sguardo, a dotarsi di strumenti adeguati e incisivi per perseguire quella giustizia e quella legalità che tutti, a parole, desideriamo”. “Per questo ‘don Pino’ è morto: perché con l’ostinata volontà del cercare giustizia è andato oltre i confini della sua stessa comunità di credenti – conclude il fondatore di Libera -. Don Puglisi non è stato ucciso perché dal pulpito della sua chiesa annunciava principi astratti, ma perché ha voluto uscire dalla loro genericità per testimoniarli nella vita quotidiana, dove le relazioni e i problemi assumono la dimensione più vera”.