Finalmente si intravede la luce. O almeno si spera. Dalla Festa dell’Unita di qualche settimana fa in provincia di Avellino il commissario regionale del Pd Antonio Misiani traccia la deadline del nuovo corso in casa dem. Ad inizio 2024 si apriranno le porte per il congresso campano del partito di Elly Schlein: “Ho indicato un percorso alla festa provinciale di Napoli: la riapertura a fine del tesseramento in tutte le federazioni, il congresso dei circoli della Federazione provinciale di Caserta e il congresso regionale che dovrebbero esserci ad inizio del prossimo anno. Perché non dimentichiamoci che il commissariamento regionale nasce dalla vicenda di Caserta. Adesso però spetta al gruppo dirigente del Pd campano, ai rappresentanti istituzionali, consiglieri regionali e parlamentari pronunciarsi su questo percorso per il cogresso. Se va bene lavoriamo tutti insieme per portarlo a termine. Naturalmente serve un clima di confronto sereno, unitario. Io lavoro per questo e vedremo nelle prossime settimane di incamminarci lungo questo sentiero con il Pd campano.”
Per ora non circolano ufficialmente nomi altisonanti ma una riflessione va fatta. Pane al pane e vino al vino. Come intende il Pd recuperare il rapporto coi territori? Attraverso quale ragionamento politico vuol ripristinare la credibilità perduta? Parliamoci chiaro. La solita filastrocca legata al campo largo è uno strumento incapace di generare la nascita di un gruppo dirigente vivo e che rappresenti i ceti popolari. Trasformando il Pd in un contenitore elettorale senz’anima. Del resto basti dare uno sguardo agli ultimi risultati ottenuti alle elezioni comunali a Napoli (un misero 12,2%) e alle scorse elezioni regionali (circa il 17%). Risultati ben al di sotto della media nazionale e che lasciano il tempo che trovano. Dunque la domanda sorge spontanea. A chi si affiderà il Pd campano per risalire la china in termini politici e culturali?
La prospettiva maggiormente accreditata ha un nome e un cognome: Antonio Bassolino. L’ex sindaco napoletano prese parte alla prima assemblea del Pd provinciale anche se nessuno gli diede la parola. Ancora oggi resta un mistero della fede. Ragioniamoci su per un attimo. Il partito lo invita. Lo legittima sul piano politico a presenziare ad un momento pubblico insieme ai big regionali. Ma non dice una parola in quanto né Annunziata, né Dinacci gliela chiese. Un modo irrispettoso di trattare un uomo che rientra fra i primi 4-5 dirigenti della storia della sinistra al Sud. Con pregi e difetti. Con oneri e onori. Ma andiamo avanti. Bassolino resta l’ultima spiaggia per il Pd di tornare ad essere un partito organizzato. E di sicuro col suo ritorno in un ruolo squisitamente politico il partito di Schlein può ritrovare un’identità culturale nella quale rivedersi.
Inoltre in Campania, e in particolare modo a Napoli, negli ultimi anni il segretario di turno ha abdicato al proprio ruolo nel nome della subalternità a De Luca. E qui ci sarebbe da scrivere libri interi. Per caso qualcuno di voi ricorda nomi e battaglie politiche dei segretari degli ultimi 10 anni? Impresa ardua. E ci fermiamo qui onde evitare di diventare esageratamente cattivi. Pure perché se i servi sciocchi riescono a ricoprire ruoli apicali poi nessuno si lamenti se il Pd perde voti e militanti. Nessuno si lamenti se i mediocri di turno educano le nuove leve al silenzio per questioni di sopravvivenza politica ed economica. Una roba che fa ridere i polli. Con Bassolino questi ragionamenti sarebbero spazzati via nel giro di una settimana. In un quadro così insopportabile l’ex governatore può fungere da padre nobile del Pd e dell’intero centrosinistra regionale. A tal punto da poter incidere sul dopo De Luca qualora l’attuale governatore salernitano decidesse di non ricandidarsi per il fastidio terzo mandato. Ma questa è un’altra storia.