Quanta ipocrisia aleggia nelle dichiarazioni dei medici ieri in sciopero per denunciare la grave carenza di camici bianchi.
Ipocriti quando dichiarano: “è un dramma evidente in ogni regione d’Italia, in Campania i dati certificano una situazione ai limiti dell’impossibile”. Ipocriti quando non parlano del peso che il numero chiuso alle facoltà di medicina sta avendo su questa situazione.
I sindacati Anaao Assomed e Cimo Fesmed citano i dati della Ragioneria Generale dello Stato-Istat. In Campania, sottolineano, al 31 dicembre 2021 il numero dei medici del Servizio sanitario nazionale ammontava a 9.333 e quello degli infermieri a 18.997 per un totale di 28.330 unità. “Per essere in linea con le altre regioni, che pure denunciano carenza di personale, occorrono oggi almeno 4.200 medici dipendenti del Servizio sanitario nazionale in più e, guardando agli infermieri, sono più di 7.000 le unità mancanti. Dati – affermano i sindacati – che contribuiscono in maniera significativa a fare della Campania la regione con l’aspettativa di vita più bassa di Italia: per gli uomini 78,8 anni (due in meno rispetto alla media nazionale) per le donne 83 (un anno e mezzo in meno)”.
Per i medici, poi, le carenze si traducono in un enorme stress lavorativo, sempre più spesso causa di burnout e continue aggressioni ad opera dei pazienti. “Questo sciopero serve a chiedere rispetto per categorie professionali che tengono in piedi il Servizio sanitario pubblico. È il momento di rispondere con durezza, perché ormai in tutta la categoria prevale un senso di sdegno e di rabbia”, afferma Bruno Zuccarelli, segretario regionale campano del sindacato Anaao Assomed.
“Siamo indignati – aggiunge – dal tradimento che leggiamo nell’attacco alle nostre pensioni, non possiamo sopportare di dover andare al lavoro consapevoli di rischiare ogni giorno un’aggressione e, cosa ancor più importante, non abbiamo alcuna intenzione di starcene zitti e buoni mentre la politica cancella il diritto alla salute dei cittadini”. La protesta dei medici è partecipata, sia a Napoli che nel resto della regione: “non è servito a niente morire di lavoro – dice Antonio De Falco, sindacalista del Cimo Fesmed – ammalarsi di lavoro, cedere anni di vita, se poi la sanità continua ad essere considerata solo un costo da tagliare”.
Insomma: preoccupazione per le pensioni e per lo stress lavorativo, ma nemmeno un riferimento al fatto che limitare l’accesso allo studio di migliaia di giovani, oltre a mortificare un sogno e a precludere loro un possibile futuro lavorativo, impedisce, di fatto, un incremento del capitale umano laureato a disposizione.