Col nuovo anno arrivano buoni propositi. Soprattutto se ci troviamo di fronte a occasioni irripetibili. O meglio. L’evento serve a ricordare chi siamo nella vita. Senza dimenticarcene. Ma è un argomento che tratteremo nelle prossime righe. Quest’anno ricorre il trentesimo anniversario della morte di don Peppe Diana. Precisamente il 19 marzo. Ma fino a questa data ci saranno eventi e iniziative in onore del sacerdote antimafia ucciso a Casal di Principe. Diocesi di Aversa. Comitato Don Peppe Diana. Regione Campania. Libera. Provincia di Caserta. E, spero, una marea di cittadini. Chi più ne ha più ne metta. Tante istituzioni si muoveranno nel solco del ricordo del parroco che più di tutti fece dell’impegno antimafia una vocazione. Chi vi scrive ha diffuso sui social in questi giorni il tentativo di organizzare alcune iniziative, insieme alle persone che hanno conosciuto don Diana, per tramandare alla mia e alle future generazioni la cultura antimafia. Avete capito bene. Ho scritto proprio così. Cultura antimafia. La stessa che negli ultimi anni sembra smarrita in Campania.
Esistono le realtà che s’impegnano come le associazioni o le parrocchie. Ma la mia sensazione è che l’impegno antimafia sia relegato a funzione accademica. Una roba per pochi capace di produrre in maniera sempre più frequente passerelle insopportabili. In altri tempi la famosa società civile (che oggi non c’è più, inutile girarci intorno) si faceva sentire e garantiva la risposta del popolo dinanzi ai morti ammazzati. Basti pensare cosa accadde senza andare troppo indietro nel tempo quando morì Lino Romano nel 2012, mio concittadino. All’epoca avevo poco più di 20 anni e ricordo bene quei momenti di grande dolore per la mia comunità e di Napoli Nord. Fu un dolore atroce come se avessero ucciso un fratello, un amico anche per chi non lo conosceva. La camorra aveva ucciso uno di noi. E fu così che scendemmo in strada per una marcia infinita. Ne eravamo tantissimi con fiaccole e striscioni. Una roba che ancora ora mi fa venire i brividi. Oppure potrei ricordare il grande impegno su Terra dei Fuochi insieme a don Patriciello e tanti come noi desiderosi di fermare i tumori nella nostra terra. Ma poi? Cos’è accaduto negli ultimi anni? Una lunga rassegnazione di un popolo che si è arreso. Oppure è emersa la scomparsa di punti di riferimento ai quali aggrapparci per continuare l’azione anticlan. Oppure entrambe le cose.
Certamente va cambiata la rotta. E vorrei farlo insieme a te, alla mia generazione. Magari anche a quella precedente che ha visto più di noi cosa è in grado di fare la mafia. E per cambiare la rotta va ripristinata la cultura antimafia. Non basta urlare slogan del tipo “la mafia è una montagna di merda”. È una frase che va riempita attraverso la conoscenza vera delle dinamiche criminali. A tal punto da formare una generazione consapevole in profondità di cosa sono capaci le organizzazioni criminali. Altrimenti tutti noi saremo costretti a soccombere nel buio dell’assuefazione. Senza impegno e senza luce. Ovvero l’esatto opposto di ciò che fece don Diana insieme ai parroci della forania nel Natale 1991 col celeberrimo documento “Per amore del mio popolo non tacerò”. L’atto del prete anticlan non fu solo una scelta straordinariamente eroica (Casal di Principe negli anni Novanta attraversava il periodo d’oro del clan dei Casalesi, quindi non era proprio Stoccolma) ma fu la conferma storica che il mondo cattolico non si è mai tirato indietro dinanzi all’impegno antimafia. Ed è questo il mio sogno. Tornare a discutere insieme a una comunità che si risveglia dal torpore.