L’archiviazione per prescrizione non è una condanna

Un provvedimento di archiviazione per prescrizione del reato, che esprima apprezzamenti sulla colpevolezza dell’indagato, viola “in maniera eclatante” il diritto costituzionale di difesa, il diritto al contraddittorio e il principio della presunzione di non colpevolezza. Lo sottolinea la Corte Costituzionale nella sentenza 41 depositata oggi che si è occupata di un delicato caso giudiziario che ha come protagonista involontario un magistrato accusato da un imprenditore “di aver percepito rilevanti somme di denaro” per sistemargli delle cause per tasse. Appreso di questa indagine che lo riguardava, il magistrato denuncia l’imprenditore per calunnia e solo nel corso di questo procedimento apprende che l’altra inchiesta si era conclusa con l’archiviazione per prescrizione delle accuse a suo carico di corruzione in atti giudiziari, e altre contestazioni. Nessuna norma impone di dare notizia agli indagati delle archiviazioni per prescrizione, anche nel caso in cui il provvedimento che attesta la lentezza dell’azione statale contenga giudizi di colpevolezza sulla persona archiviata e prescritta. Tuttavia il dubbio sulla costituzionalità della norma viene sollevato dal Tribunale di Lecce, incline a ritenere che vada affermato invece il diritto della persona sottoposta alle indagini a rinunciare alla prescrizione. La Consulta dichiara non fondata la questione, ma coglie la palla al balzo per dire che “l’iscrizione nel registro degli indagati e il provvedimento di archiviazione che chiude le indagini sono atti concepiti dal legislatore come ‘neutri’: è erroneo far discendere conseguenze negative per la reputazione dell’interessato”. Inoltre, il caso sollevato del Tribunale di Lecce – ha proseguito la Corte – è “emblematico di una specifica patologia” e l’atto risulterà del tutto indebito, “a fronte della considerazione che, una volta riscontrato l’avvenuto decorso del termine di prescrizione, gli stessi poteri di indagine e di valutazione del pubblico ministero sui fatti oggetto della ‘notitia criminis’ vengono meno”. Provvedimenti simili, evidenzia la Consulta, “sono in concreto suscettibili di produrre – ove per qualsiasi ragione arrivino a conoscenza dei terzi, come spesso accade – gravi pregiudizi alla reputazione, nonché alla vita privata, familiare, sociale e professionale, delle persone interessate”. Tutto ciò, in ipotesi, potrebbe dare “altresì luogo a responsabilità civile e disciplinare dello stesso magistrato” che ha richiesto o emesso il provvedimento. Il complessivo bilanciamento degli interessi in gioco esige, in conclusione, che sia sempre assicurata all’interessato “la possibilità di un ricorso effettivo contro questi provvedimenti, che indebitamente inseriscono in un’archiviazione il contenuto tipico di una sentenza di condanna”. Spetta alla Cassazione, spiega la Consulta nel suo verdetto, individuare quali siano i rimedi giudiziari con cui difendersi dalle archiviazioni ‘colpevoliste’. Intanto i giudici costituzionali segnalano che un atto del genere in passato è stato dichiarato “abnorme” e che è in vigore il decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 188, recante ‘Disposizioni per il compiuto adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni della direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali’. E’ stato così introdotto nel codice di procedura penale un nuovo art. 115-bis. Tale disposizione prevede un rimedio ad hoc – e sul punto interverranno i lumi della Cassazione – per il caso in cui la persona sottoposta a indagini o l’imputato sia indicata quale colpevole in “provvedimenti diversi da quelli volti alla decisione in merito alla responsabilità penale dell’imputato”.

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