A dieci anni dalla morte del commissario Roberto Mancini, parla Alessandro Magno, uno dei suoi collaboratori: “Gli effetti della terra dei fuochi non si cancellano, l’Italia è piena di siti inquinati”

Gli anniversari servono anche a riaccendere la luce sui fatti, per evitare che si ripetano. Dunque è necessario ricordare il Commissario di Polizia Roberto Mancini e la sua opera. Lo facciamo con uno dei componenti della squadra che per prima indagò sul fenomeno denominato poi Terra dei Fuochi, l’Assistente Capo Coordinatore della Polizia di Stato Alessandro Magno, oggi in forza presso la Squadra Mobile di Roma.

Alessandro Magno, oggi parliamo di Terra dei Fuochi come di un ricordo distante da noi, nel tempo e nello spazio. Le chiedo, ha ancora senso parlare di terra dei fuochi?

“La terra dei Fuochi non è un capo di abbigliamento, un mobile o un oggetto che passa di moda. Gli effetti “avversi da terra di Fuochi” degli scarti industriali e non solo, di rifiuti speciali e cancerogeni occultati, miscelati, bruciati, non si cancellano con un semplice click del mouse. I responsabili e fiancheggiatori di questo disastro continuo e inarrestabile, unico nella storia d’Italia, ne sono pienamente consapevoli.

Chi ha inquinato e permesso tutto questo quando viene insultato con la parola “vergogna”, ne conosce soltanto l’etimologia, non il sentimento che si prova nell’essere apostrofati da questo epiteto.

I mezzi di comunicazione che fino a qualche anno fa ci parlavano di Terra dei Fuochi perché non potevano più nasconderlo, concedevano libero sfogo durante le trasmissioni, con l’intento di depotenziare la rabbia innescata nelle masse per quanto accaduto. Che la verità fosse finalmente venuta a galla, in parte era vero; sono i dribbling nel raccontarla che hanno fatto la differenza. Il gioco delle tre carte funziona sempre.

Siamo abituati a dare un giudizio soltanto su quello che vediamo e sentiamo, il resto non esiste. Dobbiamo ripartire da quel “non esiste” se vogliamo una vera e propria presa di coscienza.

Roberto Mancini un giorno mi raccontò di aver rilasciato un’intervista e di essere rimasto deluso nel rivederla, per il “taglio giornalistico” che gli era stato dato.

Gli stessi che ci informavano zigzagando sulle nefandezze nella terra dei fuochi, oggi parlano di Green, Sostenibilità e di Eco…

L’unico Eco che conosco è quello del riverbero che si ascolta nelle valli.

Non si tratta di andare controcorrente, come qualcuno vorrebbe far passare quando ha un pensiero divergente; abbiamo delle realtà di siti inquinati e/o stoccati in Italia, che se volessimo bonificarli non basterebbero i soldi per fare 10 guerre. Ma di quale sostenibilità vogliamo parlare? Ci sono dei siti con danni immanenti e permanenti; parlare di bonifiche in diversi casi è come tentare di rianimare una persona morta da giorni o pensare di otturare un dente cariato senza aver trattato prima la carie”.

Mentre l’Italia intera si concentrava su quella piccola porzione della Campania, la terra dei fuochi appunto, in tante altre regioni venivano commessi delitti ambientali anche più gravi. E non sappiamo cosa accade nel resto d’Europa… Quali sono i mezzi che noi cittadini abbiamo per difenderci?

“Per capire e rispondere meglio a questa domanda, bisognerebbe rileggersi le altre interviste che ho rilasciato nel corso degli anni; sono tutte collegate. Purtroppo questo non è possibile perché digitando i link non sono più disponibili. Non mancherà l’occasione di rimetterle in rete appena avrò del tempo.

Ritornando alla sua domanda: per difendersi bisogna capire prima di tutto chi sono i nostri nemici e come ci attaccheranno. Se il cittadino non raggiunge questo grado di consapevolezza e non ravvisa pericoli, perché deve pensare di difendersi e da chi? Ritorniamo al punto di partenza: quanto e quando è attendibile un’informazione? Ognuno di noi si fa un’idea in base all’informazione che riceve. Se quell’informazione è contaminata e non lo sappiamo, siamo in trappola senza rendercene conto. Anche l’utilizzo di notizie false per smentire quelle vere ci impedisce una corretta visione e manipola la nostra coscienza. C’è chi si pone dubbi e chi invece si beve tutto, ma come diceva qualcuno: questa è un’altra storia!”.

Lei da anni viene invitato a parlare dell’esperienza della Terra dei Fuochi nelle scuole in tutta Italia. E’ un modo per sensibilizzare le giovani generazioni sui gravi rischi derivanti da questi fenomeni criminosi.

“Alle giovani generazioni manca il tassello più importante: la Terra dei fuochi. Parlare di questo disastro è controproducente per chi oggi vuole spingere verso questo esasperato Green pieno di contradizioni che tutto sembra eccetto la vera salvaguardia dell’ambiente. Capisce perché non si deve parlare più di terra dei fuochi?

I veri problemi sono altri, i burattinai lo sanno perfettamente. La monnezza che altera in modo significativo l’ecosistema, il mondo ne è pieno. Non c’è luogo sicuro su questo pianeta che non sia stato utilizzato per nascondere la monnezza dei paesi più agiati. La Somalia è soltanto uno dei tanti Paesi impiegati come discarica. Anche l’inquinamento bellico dovuto alle guerre, dove l’utilizzo di armi contenenti sostanze chimiche (non solo l’uranio impoverito) ha contribuito a peggiorare la situazione ambientale. Non hanno risparmiato neanche i fondali marini con le navi a perdere; un intrigo internazionale agghiacciante. Poi c’è l’uso massiccio chimico di pesticidi, erbicidi, insetticidi, funghicidi in agricoltura; il rimaneggiamento delle attività zootecniche che ha sostituito il concio di stalla, fertilizzante naturale con quelli chimici. E l’inquinamento generato da campi elettromagnetici? Nella Geoingegneria, tabù fino a qualche tempo fa, è legittimo chiedersi  quali sono le sostanze che  vengono immesse nei cieli sopra di noi?

Alla faccia della CO2!

Per capire che i conti non tornano, non servono conoscenze accademiche, basta ragionare. L’idea che mi sono fatto me la tengo per me perché non voglio in alcun modo né condizionare né orientare il pensiero del lettore. Dobbiamo soltanto cercare di collocare i pezzi esatti di questo mosaico. In questo modo potremo aspirare a una conoscenza di qualità e capire in quale direzione stiamo andando.

Riconosco che l’esperienza e il percorso fatto nella Criminalpol insieme al Commissario Mancini, grande investigatore e ricercatore di verità, è stato determinante. Preferisco una verità dolorosa rispetto a una bugia indolore che devitalizza l’essenza della vita”.

Quali sono le domande che più di frequente le rivolgono gli studenti? E come reagiscono quando mostra loro le foto e i reperti di quelle terre avvelenate?

“Qualche mese fa sono stato ospite come relatore nel Rotary Club di Cassino; l’evento era stato organizzato dal neo presidente la Dott.ssa Annalisa Masia, una donna straordinaria per intelletto e carica umana. Presenti le autorità e le istituzioni locali. L’evento è stato organizzato all’interno di un palazzo prestigioso. I veri protagonisti di questo incontro sono stati i giovani che hanno arricchito il tutto con tantissime domande inerenti la salvaguardia dell’ambiente.

Gli studenti hanno delle potenzialità incredibili. A volte ti mettono in serie difficoltà; dare una risposta sincera e senza filtri, rischierebbe un impatto psicologico troppo forte. Trovare le parole giuste in più di un’occasione è stato veramente difficile. Mi chiedono sempre se ho paura e perché lo faccio: la paura è un sentimento che riesco a gestire molto bene altrimenti non potrei fare questo lavoro; in merito al coraggio rispondo che ci vuole molto più coraggio ad affermare che la terra dei fuochi non esiste, lì si che ci vuole coraggio! La negazione dell’esistenza della terra dei fuochi ci fa capire che non tutti gli esseri umani di questo pianeta hanno un’anima.

Quelli che lei chiama reperti, sono degli oggetti rappresentativi che ho creato con dei cilindri in PVC. Le Slide che mostro insieme agli oggetti, ti danno la dimensione verosimile di quello che è accaduto. Ho impiegato più di un anno per realizzare questo progetto. Funziona benissimo e fa comprendere bene, come siano potuti scomparire nel nulla tonnellate di rifiuti che avrebbero dovuti essere stati smaltiti in discariche autorizzate, che in realtà non si riempivano mai perché i dati erano inventati”.

C’è una cosa che vorrebbe dire oggi al suo ex capo Roberto Mancini?

“Il Sost. Comm. Roberto Mancini, si è spinto fino all’estremo sacrificio. Ha donato la propria vita nel tentativo di cambiare il percorso di questa tragedia infinita. Quanti anni sono trascorsi dalla nostra indagine: profluvi di parole e tempo prezioso perso che non sono servite di certo a cambiare le cose se non in peggio.

La domanda che si poneva Mancini e che faccio mia è la seguente: “Quante vite potevamo salvare” se avessero preso in considerazione la nostra indagine. La posta in gioco era alta; una squadra di pochi uomini con alti e bassi ma comunque una squadra. Eravamo riusciti a scardinare una porta dove altri non avevano osato. Che cosa ci fosse aldilà di questa porta rimarrà un mistero. Riferirà all’Autorità Giudiziaria dell’esistenza di una “struttura superiore”.

La Criminalpol, fiore all’occhiello della Polizia di Stato, nel 1999 viene sciolta.

Roberto Mancini era solito passare a trovare qualcuno del suo ex ufficio, compreso me. La sosta davanti alla sua vecchia stanza era una tappa fissa. Li dentro era nata l’indagine che scoprì “la Terra dei Fuochi”.

Mi disse che io avrei dovuto portare avanti la memoria di questa tragedia nel caso gli fosse accaduto qualcosa. Era già malato e aveva fatto il trapianto di midollo. A questa richiesta mi misi a ridere e gli risposi: ma che me voi molla’ sta truffa proprio a me? Lui scoppiò a ridere come era solito fare alle mie battute. Il 30 aprile del 2014 Roberto Mancini muore.

Sono trascorsi 10 anni dalla sua scomparsa e nonostante i retroscena di questa storia, porto avanti quel fardello lasciato in eredità dal Commissario Mancini che pesa come un macigno. Non sono poche le avversità che ho affrontato e superato nel raccontare verità scomode come questa.

Mi chiede cosa voglio dire al mio ex capo? Caro Roberto, non avrò mai parole per ringraziarti perché soltanto a distanza di anni ho capito tante cose che non riuscivo né a capire né a vedere. Spero di essere degno di portare avanti il tuo nome e quello della nostra squadra che tanto aveva fatto per amore della verità”.

Un’ultima curiosità: ci può raccontare un’operazione alla quale ha partecipato e della quale è particolarmente orgoglioso?

“Nel 1994, nel bel mezzo dell’indagine sulla terra dei Fuochi, vengo incaricato a partecipare come “under cover” per una operazione molto delicata. Il mio nome fu segnalato da un mio superiore della Criminalpol che proveniva dall’antiterrorismo: si chiamava Luigi Fazio, era un Sovrintendente di Polizia. Più avanti svelerò la sua grandezza.

L’operazione denominata “Timer” consisteva nell’acquisto di un ingente quantitativo di esplosivo, plastico e detonatori da utilizzare in caso di necessità per conto della nostra fantomatica organizzazione. L’abilità nel superare la fiducia e credibilità nel contesto criminale, fase più difficile e delicata, fu opera del collega Fazio. Eravamo talmente calati nei personaggi che a volte, quando finivamo e rientravamo in ufficio per redigere gli atti, ripetevamo le battute fatte durante la trattativa con i malavitosi e scoppiavamo a ridere.

Finalmente arrivò il giorno dell’acquisto dell’esplosivo. Il mio compito era quello di ispezionare e caricare l’esplosivo nel nostro furgone. Oltre a questo dovevo scoprire dove fosse il restante per evitare che il suo utilizzo finisse nelle mani di altre organizzazioni criminali. Mi presentai all’appuntamento con un furgone delle poste, vestito da postino. La Polizia scientifica mi aveva tappezzato il corpo con dei cerotti per apporre un microfono al fine di monitorare e ascoltare tutte le fasi dell’operazione. Così facendo, qualora fosse andato qualcosa storto, i miei colleghi sarebbero intervenuti tempestivamente.

Lo stratagemma del furgone postale, come dissi ai possessori dell’esplosivo, era per eludere eventuali controlli da parte delle forze di Polizia. Ci dissero che era stata un’idea geniale, manifestando una certa ammirazione su di noi. Insomma, ci erano cascati con tutte le scarpe.

L’operazione si concluse con l’arresto dei malviventi e il recupero di tutto l’esplosivo fino al covo. Fu il più grande sequestro di materiale esplosivo fatto dalla Polizia di Stato: 600 kg. di T4, 20 kg. di plastico e 1500 detonatori di fabbricazione militare. Terminata l’operazione e l’adrenalina, Fazio  si complimentò con me per aver gestito bene ogni fase dell’operazione. Lo abbracciai forte ringraziandolo per la fiducia riposta.

Qualche anno più tardi, Fazio andò in pensione e si comprò un pezzo di terra distante dal caos delle grandi città. Quel piccolo fazzoletto di paradiso comprato con i sacrifici di una vita, nel giro di poco tempo si trasformerà in un vero e proprio inferno.

Nel terreno comprato da Fazio adiacente un piccolo bosco, spuntò improvvisamente un campo Rom autorizzato. La tanto sospirata quiete per aver raggiunto la pensione, cessò improvvisamente. Passò il resto degli anni che gli rimanevano ad annotare targhe, facendo foto e video di coloro i quali bruciavano carcasse di auto dopo averle cannibalizzate. Oltre a questo, si bruciavano anche rifiuti speciali; si disperdevano liquami di ogni genere direttamente nei terreni. Mi raccontava che l’odore era simile agli acidi e che scioglievano i rifiuti che entravano in contatto con queste sostanze.

Denunciò tutto ma di fatto non accadde nulla. Furono soltanto rimosse le carcasse delle auto che si erano accumulate in quello spazio che seppur limitato, nel corso degli anni, ne contò più di mille. Al telefono mi diceva che tutti i fumi e sostanze tossiche che si era respirato negli anni, puzzavano di morte.

Era talmente disperata la situazione che cercò di giocarsi l’ultima carta visto e considerato che le sue segnalazioni non erano valse a nulla o quasi.

Contattò la redazione delle Iene su Italia Uno. Fu inviata la iena Filippo Roma che realizzò un ottimo servizio documentando una parte di quanto accadeva. Fazio, era quell’omino con barba lunga e capelli bianchi, battezzato dalle Iene con lo pseudonimo di Luigi RAMBO.

Quel guerriero indomito che avete visto in quel filmato non c’è più, morì due anni dopo la messa in onda di quella puntata. Prima di lui morì la sua compagna. A entrambi fu diagnosticato un tumore.

Quando capì che la sua vita era giunta al termine, incaricò i figli di contattare i suoi colleghi più stretti della Criminalpol. Lo andai a trovare in ospedale, sapevo che dopo quel saluto non l’avrei più visto. Morì il giorno dopo. Magro, scarnito ma con una mente lucida fino all’ultimo respiro; mi fece una raccomandazione come un padre fa a un figlio prima di lasciare la vita terrena.

I funerali di questo grande uomo vennero celebrati nella chiesa del quartiere Parioli a Roma.  La sua straordinaria opera silenziosa non è stata dimenticata. Ai suoi funerali presenzierà il Capo della Polizia attuale Prefetto di Roma, il Dott. Lamberto Giannini. A Fazio sarà riservato anche il picchetto d’onore.

Voglio ringraziarla per avermi dato la possibilità di aver ricordato due uomini dello Stato che hanno servito questo Paese e non hanno mai smesso di lottare.

Ognuno di noi deve fare la sua parte, ora, non domani. In questo periodo storico, il risveglio collettivo delle coscienze deve essere la nostra priorità. Se non comprendiamo questo, la colpa sarà soltanto nostra. Noi siamo i responsabili delle nostre azioni e omissioni.

Il mondo sta cambiando e ci attendono grandi sfide. Non possiamo più girarci dall’altra parte e fare finta di niente. Se il futuro è nelle nostre mani, perché delegarlo agli altri?”.

Naturalmente siamo noi a ringraziarla.

 

 

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